Io, Robotto | Manifesto della mostra
di Massimo Triulzi
Io, Robotto.
Non è un caso. Le ragioni di un nome:
IO virgola robot(to). La macchina che aspira a diventare uomo (Pinocchio di Collodi) prende coscienza di sé. Sviluppa consapevolezza del suo essere, dei suoi limiti e delle sue aspirazioni, riconosce ciò che lo circonda, diventa sociale e acquista responsabilità.
Io, Robot(to). È il testo fondamentale della robotica. Una raccolta di racconti di Isaac Asimov scritta dal 1940 al 1950. Un parto lontano della fantasia dell’uomo che assurge a dogma di quella che è la moderna robotica e ne segna le possibilità e i confini con la definizione delle Tre Leggi della Robotica. È la fantascienza che anticipa la realtà, l’uomo che immagina i suoi confini.
Io, Robotto. Non è un robot. È un ‘robotto’, la sua traduzione in lingua giapponese. Con tutte le sue implicite accezioni. Il Sol Levante è per eccellenza la terra dei robot, per esigenze sociali e uniche caratteristiche culturali. La parola ‘robotto’ perde le sue accezioni meccaniche e tecnologiche e diventa “kawaii”, cioè carino, adorabile, amabile. È una macchina che assume un compito sociale, quello di intrattenere, di fare compagnia all'uomo.
Ben prima di poter diventare uno strumento di lavoro, il robot nasce per intrattenere e divertire l’uomo: per suonare strumenti musicali, servire il tè o giocare a scacchi.
Inteso come semplice giocattolo meccanico o reale traguardo tecnologico, creato per soddisfare le differenti esigenze sociali e culturali del lontano oriente, studiato come ausilio medico nella cura dell’autismo o come sostituto di quell’animale domestico impossibile da ospitare, immaginato come un gigante combattente per la protezione del genere umano, l'uomo ha progressivamente investito la macchina di un nuovo ruolo: quello di robot da compagnia, con cui intrattenersi, interagire e comunicare. Inseguendo l’utopia di un’intelligenza artificiale con cui confrontarsi.